Onorevoli Colleghi! - «La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni». In queste parole di Giovanni Falcone è racchiuso il significato della presente proposta di legge, che vuole istituire una «Giornata della memoria e dell'impegno per le vittime delle mafie» non solo per ricordare in maniera doverosa e dignitosa tutti coloro i quali hanno pagato con la vita il loro diritto di uomini liberi e onesti, ma anche per impegnarsi affinché questo ricordo possa aiutare a liberarsi dalla morsa delle mafie chi non lo è ancora.
      Deve essere forte, innanzitutto da parte delle stesse istituzioni, la volontà di non dimenticare e di far propria la memoria delle vite distrutte dalla mafia: quelle di chi non è più fra noi perché si è opposto con coraggio, ma anche vite di chi convive con un ricordo tragico o con la paura e il sopruso. Bisogna ricordare per dimostrare che lo Stato è stretto in cordoglio attorno alle famiglie delle vittime, non solo con attività di inchiesta e di ricerca della verità, ma in senso più intimo, contro un nemico personale e ingiusto, che tenta di distruggere i valori di giustizia, di democrazia e di libertà; la libertà di agire, la libertà di esprimersi, e anche (e soprattutto) la semplice libertà quotidiana di recarsi per le vie e per le piazze senza nessun pericolo per la propria incolumità e per quella dei propri cari. Perché in un «Paese libero» non è possibile sentirsi minacciati in modo barbaro e subdolo.
      Per capire la «forza» della minaccia, basta ricordare le parole che il mafioso

 

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Tommaso Buscetta pronunciò prima dell'interrogatorio da parte di quella che poi sarà una delle vittime «eccellenti» delle mafie, Giovanni Falcone: «L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. È sempre del parere di interrogarmi?».
      Di tutta risposta, possiamo riprendere quanto scritto dal nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, nel giorno del 15o anniversario della strage mafiosa di Capaci, il 23 maggio scorso: «Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia e l'appello a una cultura della legalità abbiano bisogno di un grande movimento di popolo»; bisogna quindi sollecitare «mobilitazione della cultura e della scuola e della partecipazione dei cittadini alla vita democratica, per il progresso sociale e civile del Paese».
      Per sensibilizzare, per creare una memoria condivisa e costruire una coscienza civile in onore di chi si è sacrificato per la difesa della democrazia e della sicurezza sociale, è quindi opportuno dedicare una giornata al ricordo e all'impegno. Scegliere il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci del 1992, per ricordare il sacrificio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, e degli uomini di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, ma anche di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta (Emanuela Loi - prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cusina e Claudio Traina), morti in via d'Amelio il 19 luglio dello stesso anno, e di tutte le vittime delle organizzazioni criminali. Giovanni Falcone, in «Cose di Cosa Nostra» (Milano, Rizzoli, 1991) scrisse: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande».
      Facciamo in modo da non lasciare solo chi è minacciato dalle mafie, e cerchiamo di distruggere il «gioco» partendo dal ricordo e dalla costruzione di una nuova coscienza civile fondata sul rispetto della legalità.
 

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